Descrizione
Forte, risoluto, di poche parole, a volte rude. John Wayne ha impersonato il perfetto eroe americano. Con i suoi quasi 200 film girati in 50 anni di carriera è stato tra i più longevi portabandiera cinematografici degli Stati Uniti. Eppure, nonostante la fama mondiale, l’Academy lo ha sempre osteggiato per le sue idee tenacemente conservatrici, attribuendogli un solo Oscar nel 1970 per Il Grinta.
In questo volume, Mancino ricostruisce un’ampia biografia artistica dell’attore che è al tempo stesso un grandioso affresco dell’America del Novecento. Dal debutto nel cinema muto (Brown of Harvard, 1926) a Ombre rosse (1939), film decisivo per la sua carriera, proseguendo con la Trilogia sulla cavalleria (Il massacro di Fort Apache, I cavalieri del Nord Ovest, Rio Bravo), Sentieri selvaggi (1956) e L’uomo che uccise Liberty Valance (1962), fino ai ruoli più “moderni” come in Ispettore Brannigan, la morte segue la tua ombra (1975). Il racconto di questa sterminata filmografia procede di pari passo con quello di un paese diviso tra slanci ideali e tradizione conflittuale, aneliti di libertà e nevrotiche cacce alle streghe. Ne emerge il ritratto di un attore che forse come nessun altro ha incarnato con tanta convinzione le luci e le ombre del mito americano.
Contrappuntato da un ricchissimo catalogo di immagini tratte direttamente dai fotogrammi delle pellicole, questo volume ripercorre la leggendaria avventura artistica del “Duca” di Hollywood. Il divo burbero e reazionario che del suo lavoro amava dire: «Nei film recito la parte di John Wayne, a prescindere dal ruolo che mi viene dato. E mi sembra di cavarmela bene».
Anton Giulio Mancino
(Bari, 1968), professore associato di cinema all’Università di Macerata è saggista e critico cinematografico. Collabora con riviste specializzate («Bianco e Nero», «Cinecritica», «Cineforum», «Fata Morgana») e con il quotidiano «La Gazzetta del Mezzogiorno». Ha pubblicato volumi su Martin Scorsese e Jonathan Demme (Angeli selvaggi, 1995, prefazione di Roger Corman); Francesco Rosi, Jerry Lewis, Sergio Rubini, Richard Lester e Giancarlo Giannini; e in particolare sul film politico-indiziario italiano (Il processo della verità, 2008, e Schermi d’inchiesta, 2012).
Con La recita della storia. Il caso Moro nel cinema di Marco Bellocchio (2014, prefazione di Giorgio Galli) ha vinto il premio Diego Fabbri assegnato dalla «Rivista del Cinematografo». Ha fatto parte per otto anni del comitato selezionatore della Settimana Internazionale della Critica alla Mostra del Cinema di Venezia. Ha diretto il documentario Giancarlo Santi: facevo er cinema e il cortometraggio All’alba, presentati rispettivamente nel 2005 e nel 2007 fuori concorso e in concorso al Festival Cinema Giovani di Torino.